CORSO DI GIORNALISMO
IL PROGETTO DEL GIORNALE ONLINE  

3.1. – LAVORARE A UN PROGETTO COMUNE.

Quando un nuovo giornalista entra in un giornale tradizionale pensa soprattutto a che cosa ci farà. Quando un giornalista comincia a lavorare per un giornale appena nato tende a pensare prima di tutto a che cosa il giornale nel suo complesso è destinato a fare. E poiché i giornali online sono tutti, chi più chi meno, appena nati, lavorare per un giornale online significa innanzitutto rendersi conto del progetto comune che motiva e organizza l’impresa.
È una condizione privilegiata per lavorare. Non si esegue un compito. Si costruisce un’avventura. La mente si allarga. La visione dell’editore e del direttore conquistano la squadra che partecipa a trasformarla in realtà. La missione dell’azienda viene condivisa con tutti coloro che collaborano a perseguirla.

La visione riguarda il mondo che si sta preparando. Il leader la formula e la comunica. Creando consenso con le parole e con i fatti. La missione riguarda il compito che l’azienda si assume e la strada che intende percorrere per portarlo a termine. Almeno fino alla prossima tappa.

Un giornale può partire da un ottimo business plan ed essere basato sulle migliori analisi di mercato. Ma se non riesce a formulare una visione e a perseguire con coraggio una missione, non sarà mai molto più che un prodotto. Un giornale con una visione invece può diventare un fenomeno sociale, un punto di incontro di persone e di idee. Non è qualcosa che avvenga tutti i giorni. E sono certamente più numerosi i fallimenti delle riuscite. Ma perché negarsi il privilegio di pensare in questi termini? Anche perché i grandi successi editoriali sono anche grandi successi sociali. E quindi la logica economica e quella culturale, in questo settore tanto speciale, vanno nella stessa direzione.

Forse tutti possono ammettere che il maggiore successo editoriale nel campo della stampa quotidiana in Italia è stato la «Repubblica». Altri giornali hanno avuto sorte felice, dal «Giornale Nuovo» a «Mf». Ma difficilmente si può sostenere che molti altri hanno saputo come, la «Repubblica», contare nel dibattito politico, guadagnare sul piano economico, innovare dal punto di vista tecnico. Ebbene: non c’è dubbio che tra le qualità di Eugenio Scalfari, il direttore-fondatore, c’è stata l’idea di marketing editoriale di costruire il prodotto a partire da una cultura. Romana, tendenzialmente di sinistra, intellettualmente avvertita, popolaresca quanto basta, pragmatica...

È interessante riandare a quel progetto e alle sue alterne vicende. Il primo giorno, 14 gennaio del 1976, la «Repubblica» vendette tutte le 300 mila copie tirate. Poi cominciò a perdere terreno. Spiega Scalfari: «Il pubblico faceva fatica ad affezionarsi ad un giornale completamente diverso da quelli tradizionali, a cominciare dal formato e dalla grafica; noi, dal canto nostro, non riuscivamo a sintonizzarci con i lettori e quindi a calibrare il prodotto».

In marzo era a 90 mila copie. In agosto era a 70 mila copie. Nella primavera del 1977 erano sempre 70 mila. Racconta ancora Scalfari: «Furono mesi di fatica dura e di prospettive grigie. Settantamila copie erano parecchie per gettare la spugna, ma terribilmente poche per pareggiare i conti dell’azienda. Al momento del decollo l’editore ed io avevamo avvertito tutti i colleghi che l’azienda aveva a disposizione cinque miliardi e tre anni di tempo. Il pareggio si sarebbe raggiunto, secondo le nostre previsioni, a 150 mila copie di vendita. Se l’obbiettivo non fosse stato realizzato nei tempi previsti, avremmo chiuso. E quell’ipotesi ci pareva terribilmente concreta nella primavera del ’77. poi, di lì a poco, la situazione cambiò, cominciammo a sentire il pubblico, le vendite, sia pur lentamente, decollarono. Alla fine dell’anno eravamo in vista delle centomila copie». Poi negli anni successivi, arrivò il successo. Pareggio nel 1978, superamento della «Stampa» e 400 mila copie vendute nel 1986. E poi contesa decennale con il «Corriere della Sera» per la prima posizione in Italia. Un successo. Dovuto a mille fattori. Il «Corriere» che proprio nel 1977 decide di rinunciare a un direttore come Piero Ottone ha certamente aperto la strada alla crescita della «Repubblica». Il cambiamento di scenario politico degli anni Ottanta ha rafforzato l’idea che la «Repubblica» fosse un giornale pesante, in grado di influenzare le vicende politiche italiane. Le nuove tecnologie hanno reso meno costoso moltiplicare le vendite di un giornale nazionale. Ma nessuna di queste ragioni è importante quanto il fatto che la «Repubblica» ha saputo coltivare una propria identità. Senza di essa le migliori condizioni di mercato non avrebbero garantito un successo paragonabile.

Ora. È chiaro che un progetto di giornale online odierno non ha probabilmente le stesse pretese di un fenomeno come la «Repubblica» ma ha certamente la stessa dinamica. Al centro c’è l’identità. Quindi una visione di lunga durata. Una strada da compiere in un tempo congruo per raggiungere il pubblico e indurlo ad «affezionarsi». Il che è decisivo più di ogni altro elemento per un bene di informazione che gli economisti definiscono «bene esperienza».

Un «bene esperienza» è un prodotto del quale i consumatori possono giudicare il valore solo dopo averlo consumato. Come si può prevedere, prima di averlo letto, se il numero odierno del «Sole 24 Ore» vale l’euro che costa? È chiaramente impossibile. L’unica motivazione che il pubblico ha per comprare la copia di oggi, o per impiegare il suo tempo a collegarsi al sito di quel giornale, viene dall’esperienza che in passato ha fatto di quel giornale.

E l’esperienza del giornale è un insieme complesso, presenta elementi di razionalità e altri di contenuto prettamente simbolico. Un giornale, online o di carta, è uno strumento di lavoro, ma è anche un fattore di aggregazione sociale. Al centro del suo valore, comunque, c’è l’idea che il ruolo che quel giornale ha giocato per il pubblico in passato continuerà ad essere giocato in futuro.

Il che presuppone che al centro del valore del giornale ci sia la sua identità.

Solo se il gruppo di professionisti che fa un giornale, online o di carta, si sente accomunato da un progetto e un’identità, anche il pubblico potrà sentire quell’identità. È una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per il successo.

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Riferimenti:

Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Mondadori, Milano, 1986.
Vittorio Zucconi, Parola di giornalista, Viaggio lievemente indiscreto dentro la stampa italiana, Rizzoli, Milano, 1990.
Alberto Cavallari, La fabbrica del presente. Lezioni d’informazione pubblica, Feltrinelli, Milano, 1990.

Altri tempi: lo speciale che racconta nel dettaglio la nascita e la storia del New York Times. Pubblicato nel 2001 in occasione dei 150 anni di vita del quotidiano. Per consultarlo è però necessario essere abbonati: http://www.nytimes.com/specials/150/


PRESENTAZIONE
-COME SI USA QUESTO MANUALE

INTRODUZIONE

- L’INFORMAZIONE E’ LA SUA STRUTTURA

PRIMA PARTE.
INTRODUZIONE AL GIORNALISMO ALL'EPOCA DI INTERNET

SECONDA PARTE.

COME SI LEGGONO I GIORNALI ONLINE

TERZA PARTE.
IL PROGETTO DEL GIORNALE ONLINE
3.1. – Lavorare a un progetto comune.
3.2. – Definizione del giornale come prodotto
3.3. – Strumenti, linguaggi, organizzazione.
3.3.1. - Progettazione iniziale
3.3.2. - Progettazione continua

QUARTA PARTE.

PRODUZIONE DEL GIORNALISMO ONLINE

QUINTA PARTE
PROSPETTIVE DEL GIORNALISMO ONLINE

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